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      - Flaviana dice ch'è un mezzo, non è cosí? - domandò Irene sordamente.
      - Flaviana non ne sospetta l'esistenza. Sospetta invece il disegno di far nascere in me la passione, come un mezzo.
      La giovine donna si alzò. La sua figura si era ricomposta ad una calma strana e terribile. Si allontanò due o tre passi, assorta nel suo pensiero intenso. Quando ritornò verso Mario, parve aver preso il suo partito:
      - Vuoi dimenticare tutto quello che ci univa? Io ti sciolgo; ti ridò intera la tua libertà.
      - Credi dunque di poter sfidarmi impunemente?
      Fu come la goccia che fa traboccare la tazza troppo piena. Irene ricadde sopra una sedia, con un singhiozzo da cui parve spezzato il suo cuore. Si nascose il viso fra le mani, e pianse lagrime di angoscia e di furore, mentre il cognato la guardava interdetto.
      - Sembriamo veri bambini! - diss'egli, per mettere una frase qualunque in quel silenzio opprimente.
      - Non ti pare che basti ancora? - gridò la giovine donna furibonda, col viso sfigurato dal dolore e dalla collera, bagnato di pianto. - Io ho sofferto tutto quello che potevo soffrire, intendi? Perché resti? Che c'è piú fra noi? Non vedi che mi metti tant'odio nel cuore da farmi impazzire? Va! sí, ti sfido! T'ho detto un'altra volta, che sei un ingrato ed un infame! Ma va, dunque, dalla tua Flaviana!
      - Vuoi che ti sentano? vuoi comprometterti? - balbettò Mario, spaventato di vedersela dinnanzi cosí, fremente e sconvolta.
      - Che m'importa? Va dunque a dire a Pippo che mi hai avuta! È il solo mezzo di scuoterlo: è il solo mezzo di colpirmi a morte, togliendomi la mia fama di donna onesta.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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