Allora Mario, spinto a sua volta da una specie di delirio, le si avvicinò; volle afferrarle le mani.
Fu una scena muta, dopo un grido d'angoscia di lei. Ella erasi scossa, balzando in piedi. Fuggí. Mario non la trattenne; la vide ridursi all'angolo piú lontano, senza levargli d'addosso gli occhi spaventati ed ammaliati. Poi vide quel viso cereo sformarsi, esprimere qualche cosa, che non era piú l'odio di poc'anzi. Quelle braccia contorcevansi con un atto di angoscia infinita. Passò un lungo istante cosí.
Mario ebbe un pallido barlume di volontà; sentiva che tale scena doveva cessare a qualunque costo; egli non poteva restare un minuto di piú.
- Rassicurati - diss'egli, con un filo di voce, - non hai piú nulla da temere da me. Addio.
S'incamminò verso la porta, risoluto. Lo trattenne un grido angoscioso. Irene barcollava presso a cadere. Egli si slanciò a sorreggerla; la raccolse nelle braccia.
Lei gli si abbandonò. La fralezza femminea, che aveva superato e vinto fino allora, si vendicava di lei. Era una crisi di pianto, una convulsione di singhiozzi, che fiaccava le sue membra gentili di giovine donna. Mario, commosso dalla pietà e dallo spavento, avrebbe dato la sua propria vita per toglierla da quello stato.
Ed egli non poteva soccorrerla; non poteva domandare aiuto ad estranei che avrebbero sorpreso una parte almeno del loro segreto. Egli l'adagiò, disperato, sopra un sofà. Le bisbigliava parole affettuose d'incoraggiamento, chiamandola coi piú dolci nomi. Le domandava perdono, riconoscendo di avere agito contro di lei come uno sciocco e come un malvagio.
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Mario Mario Irene Mario
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