- No, no! - aggiunse la giovine donna, arrestandolo; - Non già in questo modo. Bisogna che tu rifletta seriamente. Si tratta d'impegni tremendi, che non consentirebbero né prudenze, né finzioni. Il meno che ci potrà accadere, sarà comprometterci nella stima del mondo. E noi siamo quelli della famiglia che si allontanano di piú dalla fortuna di tuo padre.
- Ebbene? Che ce ne importa?
- Ti pare adesso. No, no! Non voglio! Aspetta quarant'otto ore. È l'ultima prova di pazienza che ti domando. D'altra parte non posso piú trattenermi con te. Addio.
Gli stese la mano per salutarlo. Ed egli non seppe piú resistere alla muta preghiera di quello sguardo amoroso e sorridente. Si allontanò, coll'ubbidienza passiva della quale, in un caso simile, avrebbe dato spettacolo suo fratello.
XII.
A casa Barbati finivano di desinare. S'erano messi a tavola assai tardi, pei soliti impicci che non permettevano piú a Rinaldo d'esser padrone del suo tempo. Era un dicembre eccezionale, agitatissimo. Tre giorni innanzi, una domenica, Rinaldo aveva parlato ad un meeting al Politeama, ed era stato in procinto di farsi arrestare per intemperanza di linguaggio. Nei ritrovi piú scapigliati dei suoi correligionari politici, egli mostravasi esasperato di non trovare intorno a sé uomini abbastanza risoluti per spingere le cose agli estremi. Perché aspettavano ancora? Non vedevano che al popolo prudevan le mani? Erano dunque traditori anche loro, oppure volevano saltare in aria cogli altri, quando la mina sarebbe scoppiata da sé?
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