Flaviana, già vestita, doveva andare al Metastasio con lui. Al vederla inghiottire con una rapidità di passera vorace, Rinaldo si mise in allegria; trovò delle facezie. Ebbene; le cosce delle figuranti ingolosivano, per caso, lei pure?
Nell'intimità egli dimenticava volentieri le sue rigidezze di tribuno. Quando ne aveva il tempo, evocava gioconde imagini di sensualità, con una mordace brutalità di linguaggio da vecchio vizioso. Gli piaceva veder Flaviana combattuta fra l'orrore dei suoi spropositi e la voglia di riderne. Tali piccole scene lo eccitavano, lasciandogli come l'appagamento di un piacere prelibato.
Ma quella sera Flaviana non gli dava retta, alzando le spalle alle provocazioni di lui, continuando a preoccuparsi unicamente di mangiar molto e presto. Egli ne fu quasi indispettito; lanciò un altro epigramma:
- Perché non ti metti in saccoccia l'arrosto, il formaggio e le frutta? Te lo ruberanno il tuo Metastasio!
Flaviana, seccata, si giustificò:
- Sono le otto passate; non voglio fare aspettare Federico.
- Povero Federico! - compassionò Rinaldo con uno scroscio di risa. E dette addosso al socio che gli conduceva a teatro la moglie. Sicuro: Federico ci avrebbe troppo patito a non trovarsi all'alzar del sipario. Era già incredibile che si conducesse una donna. Che tipi, la gioventú benvista in Vaticano! Un mucchio d'animali, degni, per Cristo, d'essere fatti vedere a pagamento!
- Però, qualche volta, con loro, ci si trova dell'utile non è vero? - disse Flaviana, urtata dall'aggressione.
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