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      Però Barbati ne sapeva di belle, e quella sera appunto, sentendosi in vena, sfilzò una litania di storielle piccanti, sul conto del socio, per edificarne la moglie. Non avvertiva di farci, lui marito, una figura discretamente barbina. L'incipiente lavorío della digestione lo riscaldava, colorandogli vivamente le gote, e facendogli luccicare gli occhi. Perché dunque Flaviana non si divertiva a far chiacchierare ed a far disperare il suo galante e cattolico cavaliere? C'era un'avventura recentissima: un vero romanzetto allegro, che aveva lasciato forse degli strascichi: insomma, una monachina francese che si era lasciata distrarre dai suoi doveri di sposa del Signore pel birbante, e gli aveva permesso, non solamente di toglierle il soggolo, ma di farle anche volare la sacra camicia di sopra la testa.
      Finalmente Federico comparve. Là, dinnanzi al marito, Flaviana rivolse al socio una di quelle frasi motteggiatrici, che riassumono tutti i rimproveri, e rifiutano anticipatamente tutte le scuse:
      - Si sa quanti selci ci sono da Piazza Colonna a qui?
      - Contarli, non ci avrebbe fatto arrivare a teatro piú tardi, - rispose Federico sorridendo. Portava dinnanzi alla bianchezza della mensa un po' in disordine, la sua figura di giovinotto trentenne, grassotto; un faccione sereno e scialbo, una testa ricciuta e castana; due occhi grigi, sorridenti e scaltri. Aveva raccattato nelle sacristie un'untuosità pretina nei modi, un fraseggiar molle, che temperava le asprezze di certe consonanti. La sua risposta, lasciata cadere con una noncuranza fatua, sprigionò due lampi terribili dagli occhi di Flaviana.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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