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      Barbati s'intromise. Se stavano ancora a tavola, era colpa sua. La povera Flaviana aveva inghebbiato il cibo come un pollastro da ingrasso. Del resto, anche Federico era arrivato con tutti i suoi comodi, come un vero canonico.
      Allora Vettoni scese a maggiori particolari. Sorseggiò, con un raccoglimento di ghiottone religioso, un bicchiere di vino mesciutogli dal padrone di casa. Gli era passata l'ora senza che se ne avvedesse. S'era perduto ad ascoltare, al caffè, i discorsi sulla convulsione finanziaria che la città attraversava. Correva una voce: a Como avevano scoperto il Gerente della Banca dell'Agro romano sul punto di guadagnare il confine, e lo avevano tratto in arresto.
      - E tu hai tanto aspettato a dirmelo! - esclamò Barbati. Egli aveva quella notizia piú cara di un guadagno di mille lire! Ma che mille lire! Non gl'importava piú delle diecimila perdute, a condizione di vedere in galera i furfanti che glie le avevano fatte perdere. Non la finiva piú; il suo risentimento esplodeva con un fraseggiare iroso di galantuomo indegnamente ingannato. Ad un tratto si calmò; si rivolse alla moglie sorpreso:
      - Perché non fai portare il caffè?
      Lei dette gli ordini indolentemente. Aveva mangiato le frutta ed il formaggio con una lentezza ostentata e dispettosa. Pareva che avesse rinunciato al teatro; la sua espressione non prometteva nulla di buono a Federico.
      Ma questi capí alla fine che doveva abbonirla. Allora le si pose attorno con una maniera insinuante di faceto monsignore che addomestica e sollecita una penitente gustosa.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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