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      Il risveglio fu crudele. Flaviana conobbe interamente Irene alla notizia che il matrimonio di padron Gregorio andava a monte, e ch'ella restava incaricata di tener compagnia al suocero, senza che per questo apparisse la probabilità di una riconciliazione fra il padre ed i figli. Poi il nuovo contegno d'Irene compí l'esperimento. I Barbati si accorsero appunto ch'erano stati ciechi stromenti nelle mani di un'intrigante emerita, perdendo, per proprio conto, il loro tempo.
      Allora deposero le armi. Rinaldo avanzò bensí qualche timida obbiezione su quella vergognosa ritirata; ma Flaviana non lo ascoltò. Ella era, in fondo, una pigra natura, rifuggente dal crearsi dei crucci nella esistenza. Non era neppure orgogliosa al punto di mentire a se stessa. Che serve? Ella aveva paura della Ferramonti. Bisogna ben rassegnarsi, quando non c'è a far meglio. Bastava rammentare ed aspettare. Poteva offrirsi l'occasione di qualche piccola vendetta, al sicuro.
      Ma l'istinto femminile non si placò interamente in lei. Cercò di contendere Mario ad Irene, impiegandovi tutta la sagacia, tutta l'abilità, tutta la perfidia di cui si sentiva capace. Spogliò la figura della rivale di ogni maschera ipocrita; ne scoprí la putredine e la scelleratezza con una logica stringente, basata sulla osservazione dei fatti, quasi con una ispirazione profetica, le cui fosche conclusioni avrebbero scosso un'indole di granito. Infatti ella vide che Mario pure era scosso, e, per un istante, il cuore di lei palpitò nell'illusione della vittoria.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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