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      Ella ebbe una stanza esclusivamente sua; un letto di ferro vuoto, pel caso che se ne dovesse servire; belle cortine a ricami, un tappeto, un comò di palissandro, un grande specchio, dei fiori artificiali, un amorino colle poltroncine e le sedie di accompagno, un pouff, una teletta grandissima ed uno scrittoio. Un lusso da camera mobiliata, che Ferramonti non sarebbe arrivato mai a mettere insieme da sé. Erasi affidato al tappezziere, ordinando che non si badasse a spese. Era il presente a sorpresa che il suocero volle fare alla nuora; e quella galanteria di camera, tappezzata pure a nuovo da una carta di Francia, dove strillava un luccichio di fiori d'oro sopra un fondo celeste pallido, divenne il sacrario di Irene, l'angolo che nessuno, neppure padron Gregorio, poteva profanare, senza il permesso della giovine donna. Il vecchio palpitò di gioia, quando seppe che Irene aveva fatto portare in camera sua delle robe sue: abiti di ricambio, sciarpette, biancheria, oggetti minuti che una donna desidera trovarsi sempre sotto mano. Dunque lei ci si trovava bene, là dentro, eh? Ci si acquartierava, ci accomodava le cosucce sue! Manco male! egli era riescito una volta a contentarla!
      Del resto egli era commosso dell'abnegazione della nuora. Bisogna proprio dire, che qualche volta ne scendono ancora degli angeli sulla terra! E spesso il vecchione, rammollito dalla tenerezza, fantasticava degli affanni segreti, dei rimpianti misteriosi, delle malinconie mute e dissimulate, in quella giovine bellezza, che si sacrificava per lui.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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