Era una disperazione!
E i Furlin!... Essi la odiavano. Ostentavano di sprezzarla pel suo ritiro completo dal mondo. La dipingevano nello stesso tempo come un'idiota e come una scellerata. Credevano ch'ella volesse derubarli e proclamavano che glie lo avrebbero impedito, a qualunque costo. In tali espansioni Irene trasaliva, presa da angosciosi smarrimenti; qualunque cosa sapesse dirle il suocero, ella non riusciva a frenare i propri raccapricci, e li dissimulava soltanto per fargli piacere. Lei sapeva quello che sapeva. Aspettava; era preparata a tutto; non si sarebbe maravigliata di nulla.
Gli amici di Ferramonti si guardavano bene dal riferirgli i pettegolezzi poco edificanti che cominciavano a circolare pel quartiere sul conto della sua diletta nuoruccia. Ma un giorno egli rimase colpito di certe parole dettegli appunto come per caso, e con perfetta bonomia, da un conoscente. Costui, la sera antecedente, aveva incontrato Irene in compagnia di Mario. Parve alludere ad altri simili incontri, come se quel passeggiare della giovine coppia per le strade della città fosse un'abitudine nota. E mentre l'amico ciarlava, padron Gregorio rifletteva ad una circostanza dianzi sfuggitagli: Irene non aveva mai pronunciato una parola ostile contro Mario; non aveva detto mai nulla, che potesse fargli torto. Ma perché aveva ella taciuto sempre, che Mario l'accompagnava?
Egli volle delle spiegazioni. Le ottenne, complete. In realtà, spessissimo, Irene si faceva accompagnare a casa dal cognato.
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