Per mesi e mesi, Mario, come se avesse posseduto qualche miracoloso talismano, non aveva commesso il piú piccolo errore; aveva visto la fortuna sorridergli, amica costante. Con un po' piú di ardire e di fiducia da parte d'Irene, egli avrebbe potuto farle guadagnare dieci volte di piú che non gli fosse riuscito; ma, a questo proposito, ella era inflessibile nelle idee.
Ella destinava una parte meschinissima dei suoi profitti ad aumentare le prime mille lire affidate a Mario. Accumulava il resto, senza impieghi, nascondendolo alla vista di tutti, evitando di parlarne anche incidentalmente. Il solo Mario sapeva ch'ella era in possesso di somme rilevanti ed infruttifere, e non rifiniva dal ridere al sentirla negarglielo a lui stesso, a faccia tosta, quando ne capitava l'occasione. Ma egli intuiva nella giovine donna un'altra passione, cosí bene dissimulata, che lo spirito piú acuto le avrebbe invece attribuito il difetto contrario: la passione del danaro che si ha sotto mano, che si può accarezzare, palpeggiare in segreto, inebbriandosi del suo luccichío, quando è d'oro e d'argento, e dei suoi rabeschi multicolori, quando è rappresentato da un pezzo di carta. Era, per Mario, la suprema caratteristica di valore e di forza nel temperamento femminile: egli aveva decisamente trovato una donna completa.
Ebbene, Irene accumulava in realtà molto meno di quanto egli pensava. Ella sosteneva ormai tutte le spese della casa, nella quale, volendolo, avrebbe potuto risparmiarsi di metter mai piú il piede.
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