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      Veramente, Mario sapeva a perfezione il modo di far fare dei miracoli alla gente. Prodigava il danaro colla generosità di un principe; offriva il doppio di quello che gli domandavano, purché non gli parlassero di difficoltà. Scelsero un costume del Direttorio, di raso perla: le braccia nude, le spalle nude, il seno scoperto fino quasi ai capezzoli, la cintura sotto le mammelle, la veste stretta, tagliata sulla coscia sinistra. Sotto, la maglia carnicina, la calza bianca, gli scarpini scollati di raso; tutt'insieme un amore, una meraviglia costosissima.
      Il martedí sera, nel rientrare in casa, Irene trovò pronto ogni cosa. Ebbe sensazioni ineffabili, come di una vergine che sta per vestire il suo abito da sposa. Era insieme la paura ed il fascino: un domandarsi confuso se avrebbe avuto mai il coraggio di vestirsi a quel modo, ed una intollerante impazienza di farne la prova. Che male ci sarebbe stato a lasciar la festa del Circolo? Per padron Gregorio si poteva agevolmente mettere insieme un racconto di fantasia.
      Infine, non andarono. Aspettarono invece in casa le undici. E carnevale, attraverso le chiuse finestre, filtrava gli strepiti della strada popolata, il roteare continuo dei legni, i gridi delle maschere, le mandolinate delle numerose comitive. La follía grande della città confondeva in un solo fremito le sue varie espressioni, attenuandosi come un sospiro e ringagliardendosi come un ruggito a brevi intervalli. Mario serví lui stesso da cameriera alla giovine donna, con un amore orgoglioso d'artista.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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