Ma io vi secco, non è vero? Via, siate franchi; confessatelo. Ebbene! io sono un buon diavolaccio, io! me ne vado: divertitevi.
Si ritirava infatti; raggiunse la porta; sparí. Mario ed Irene, nel silenzio in cui dormiva la casa, sentirono il suo passo pesante allontanarsi.
- Non perder tempo! - bisbigliò Irene con voce concitata: - va' subito ad ordinare il legno. Ma che cosa aspetti? Va' dunque!
Lo spinse fuori per le spalle; poi, rimasta sola, cadde sopra una sedia.
Ella aveva paura; e per la prima volta comprendeva d'essersi impigliata volontariamente in un laberinto di pericoli assurdi. L'adulterio l'aveva fatta schiava del marito e dell'amante, inutilmente. Ella vi si era abbandonata per viltà, volendo sopprimere con tal mezzo un ostacolo dalla parte del cognato, senza pensare alle conseguenze peggiori cui era andata incontro. Avrebbe potuto farne a meno: era stata una sciocca; l'opera sua mancava. Aveva, infatti, voluto impadronirsi delle sostanze del suocero, per essere un giorno ricca, felice, e soprattutto ammirata, stimata e rispettata dal mondo. Ebbene, dopo quel che avveniva, come poteva dirsi ancora possibile l'effettuazione di tale sogno?
Trasse un gemito soffocato. Si ribellava. Cercava angosciosamente un mezzo d'uscire dalla orribile posizione creatasi. Sentiva che in quel momento avrebbe rinunciato anche alla fortuna del suocero, pur di cancellare il passato. Ma se ciò era impossibile, perché lo sarebbe stato del pari...
Udí un rumore di passi cauti, ed ebbe appena il tempo di rialzar la testa.
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Irene Irene Mario
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