Avrebbe voluto ch'ella smettesse l'accento del dialetto romanesco; non glie ne permetteva le frasi, nemmeno nell'intimità. Lei lo intendeva e lo secondava, mantenendosi piú osservatrice che ciarliera, col suo viso scialbo, co' suoi occhi attenti, col suo corpo magro e rigido. Si aiutavano, nell'intento comune di farsi una strada. Erano due adulatori abili, due creature servizievoli che si formavano una grossa partita di crediti verso i potenti dai quali potevano aspettare qualche utile, un giorno o l'altro. In gennaio Paolo, finalmente, aveva avuto la promozione e la croce.
Tuttavia, nell'intimità di quella coppia esemplare, non era mancata qualche nube. Teta erasi acconciata riluttante alla parte di personaggio passivo nella commedia che impegnava la famiglia Ferramonti. Com'era possibile ch'ella fingesse di non vedere e di non sentire, per lasciar modo ad una infame di spogliarla a man salva? Furlin avea dovuto durare fatiche eroiche per frenare quella furia scatenata, sitibonda di vendetta, resa folle dalle crisi del suo odio velenoso. Aveva dovuto persuaderla, col ripeterle migliaia di volte le deduzioni del suo criterio sottile, offrendosi a spettacolo di una calma suprema, e di una sicurezza che nulla, ormai, poteva piú scuotere. Egli era stato inquieto soltanto nel principio, ed i fatti successivi non erano stati che un continuo alimento alla fiducia che aveva nel risultato necessario di essi. In dicembre, l'ostinarsi della coppia nel salotto d'Irene era dipeso da un'ultima concessione del marito alle paure della moglie: una perdita di tempo assolutamente inutile.
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Paolo Ferramonti Irene Teta Furlin
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