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      Essi, i Furlin, potevano senza timore alcuno darsi il lusso di trarsi da parte e di pensare a cose piú divertenti. Pippo, Mario ed Irene erano ormai fatalmente condannati a sbranarsi fra loro. Bisognava lasciarli fare e tenersi pronti a raccogliere i frutti della catastrofe finale, probabilmente vicina.
      Teta piegava con la passiva docilità di una intelligenza incompleta, dinnanzi ad una superiorità di spirito riconosciuta; ma non restava mai del tutto persuasa. Viveva nello spasimo segreto di non saper esprimere le proprie obbiezioni; ed il suo odio per la cognata, condannato al silenzio ed all'immobilità, avvelenava tutto il suo sangue. Un mercoledí, tornando dal suo uffizio, Furlin la trovò stravolta e livida, con una fissazione da mettere i brividi, negli occhi inferociti. Ella, del resto, ne spiegò subito il motivo.
      - Sai? ho incontrato la Barbati. Pare ch'ella si tenga informata un po' meglio di noi. Me ne ha dette delle belle.
      Il funzionario ci si arrabbiò sul serio.
      - Non hai dunque capito ancora, che non voglio saperne di questi miserabili pettegolezzi? Se hai sentito qualche cosa, fanne tesoro. Ti proibisco di parlarmene, e di tornare a ciarlare come una pescivendola.
      - La intendi cosí? - balbettò lei, colla voce rotta da un tremito convulso. - Sta bene! Te ne pentirai quando non ne sarai piú in tempo.
      Il marito la guardò; n'ebbe pietà. Sorrise.
      - Mi credi davvero un imbecille?
      - Ma che! L'imbecille sono io! Si vede a darci soltanto un'occhiata!
      - Tira via! - disse Paolo, parlandole con voce amica; - che cosa avverrebbe, se anche noi cominciassimo a pigliarci pei capelli?


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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