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      Ed aveva delle vere debolezze per lui: non sapeva impedirgli di bere un bicchiere di vino di piú; negargli nessuna di quelle leccorníe di cui egli s'era abituato a inghebbiarsi; resistergli in certe tenerezze di vecchio riscaldato, forse un po' troppo eccessive. Perdevano il tempo in ragazzate, dimenticando l'universo mondo. Dovevano certo finire, un qualche giorno, col non spiccicarsi piú un minuto l'uno dall'altro.
      Però, Irene lasciava indovinare un sottinteso nella propria docilità. Come rideva dentro di sé padron Gregorio, quando leggeva nella pura fronte della giovane donna il segreto delle sue mire! Trattavasi ancora di quelle gioie dei figli, i maschi; dell'idea di riconciliarli col padre. A sentirla, la nuoruccia, il ravvedimento di Pippo era qualche cosa di prodigioso, uno spettacolo veramente edificante. Ed ella ne attribuiva tutto il merito a Mario, si mostrava piú che mai affezionata al cognato, portando nella casa del suocero il fremito ineffabile della sua grande consolazione. Ma dunque padron Gregorio non si sarebbe deciso mai a prender lui pure la risoluzione che le circostanze gl'indicavano quasi come un dovere di padre? Non voleva proprio mai lasciarsi intenerire il cuore?
      Egli aveva cessato completamente di opporsi a tali discorsi, ripugnando all'idea che una aperta resistenza potesse alterare l'incanto della loro felicità. Cercava di cavarsela con delle frasi vaghe di promessa, con una cedevolezza bonaria da uomo che ha le migliori intenzioni; ed era orgoglioso come di una brillante vittoria, allo scorgere che riusciva in realtà a guadagnar tempo.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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