Non l'avevano conosciuta ancora! Non se lo figuravano quello che lei si sentiva capace di fare!...
- Ma rispondi almeno una parola! - gemé padron Gregorio.
- Voi? - diss'ella. - Che ci entrate voi?
S'era fermata, squadrando il vecchio. Ella commetteva un altro dei suoi errori: rinunciava a mentire con lui e lo abbandonava. Ma fu invece l'atto che la salvò. Ferramonti intuí appunto che la giovine donna stava per voltargli le spalle. Allora, ella fu bene costretta ad ascoltarlo. Le era dinnanzi, dovunque lei si volgesse; la supplicava, le domandava perdono. Quella lettera infame doveva averla scritta il demonio in persona. Quale colpa ce ne aveva lui, povero vecchio? Poteva negare, Irene, di aver riconosciuto ella stessa, che lo scritto aveva tutte le apparenze perfide di una verità sacrosanta?
Invece, lui non ci credeva. Non c'era stato altro, nel suo cervello, che il vaneggiamento di un istante, dopo una notte intiera di martirio. Adesso padron Gregorio si rendeva conto delle gelosie, delle invidie e delle inimicizie che la povera Irene, per causa sua, aveva dovuto vedersi crescere intorno. Che mondo maledetto!
A poco a poco, Irene riacquistava la calma, e la forza della dissimulazione. Preluse al perdono chiestole dal suocero, regalandogli una crisi di affanno femmineo, che le rompeva sulle labbra i rimproveri. E parlarono della loro vendetta.
- Ci riusciremo! - esclamò il vecchio; - dovessi spenderci fin l'ultimo dei miei scudi e metter sossopra mezzo Roma...
- Non occorrerà tanto, - interruppe Irene pensosa; - non ci sarà da cercare molto lontano, e basteremo noi soli, forse.
| |
Gregorio Irene Gregorio Irene Irene Roma Irene Ferramonti
|