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      Credo di esser già sulla strada.
      - Hai dei sospetti positivi? - domandò vivamente Ferramonti.
      - Per scrivere cosí, bisogna conoscer bene i nostri affari e noi. È una serpe che ci siamo di certo allevata nel seno.
      - Aspetta! Io ci sono! È lui!
      - Lui? Chi?
      - Non ci azzecchi ancora? Ma è tuo cognato, il forestiero...
      - Furlin?
      - Furlin.
      Irene trasalí. Rammentava le sorde paure che le incutevano Paolo e Teta. Ferramonti la vide di nuovo impallidire.
      - Guarda un po' - riprese: - non riesco a capire perché non ci ho pensato mai, né iersera, né stanotte, né stamani. Eppure è semplice! a rifletterci, bisogna maravigliarsi che quella gioia abbia tanto aspettato. Ebbene, gli daremo una lezione, noi! Gli faremo vedere come si trattano, a Roma, i birbaccioni.
      Tirava innanzi eccitandosi, sorpreso che la nuora non interrompesse. Ella era ricaduta nei suoi cupi pensieri. Ad un tratto rialzò il capo. Interruppe:
      - No, no! non ci lasciamo sviare dalle supposizioni. Non è Paolo. Ne sono sicura.
      - Ma come puoi dirlo? - balbettò Ferramonti disorientato.
      - È un'idea; lo so io. In ogni modo bisogna rifletterci bene, non è vero? Se ne riparlerà.
      Non volle spiegarsi meglio. Lei non poteva dire al suocero perché non credesse autori della lettera i Furlin. Certo l'idea poteva esser saltata in testa a Teta; ma per mandarla ad effetto ella ne avrebbe chiesto il permesso al marito, ed ottenerlo, questa era la cosa impossibile.
      Irene temeva il cognato perché lo sapeva scaltro, e dotato di tutte le qualità che ci vogliono per render capace un uomo di aspettare il momento giusto e l'occasione favorevole, per agire a colpo sicuro.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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