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      Ferramonti prese il coltello; per abitudine antica, sbirciò l'affilatura della lama, e parve contento. Ma d'improvviso, invece di tagliare, si alzò; guardò di qua e di là, colla testa alta, con una vivacità di movimenti incomprensibile. La sua mano destra andò violentemente al colletto della camicia come per islacciarlo. Non poté. Ferramonti, senza un grido, con un solo sospiro rantoloso, cadde disteso; rimase rigido al suolo.
      Irene gettò un grido. S'alzò, urtando il tavolo e rovesciando una bottiglia piena, che andò a spezzarsi accanto alla testa del vecchio, sul pavimento. Chiamò aiuto nello slanciarsi a soccorrere il caduto. Ma non perdeva la testa; doveva aver già compreso di che si trattasse. All'apparire delle due donne e di un garzone che stavano in cucina, sedò con un gesto i loro gridi e le loro domande. Ebbe dei comandi rapidi e netti, mentre, china, cercava di sollevare il suocero:
      - Rosa, corri a cercare il medico. Voi altri allontanate la tavola, avvicinate il sofà. Subito!
      Ferramonti era caduto bocconi; poi, coll'ultimo suo movimento, si era rigirato sopra un fianco. Si sarebbe detto già morto, senza un rantolo soffocato che gli sollevava il petto a lunghi intervalli. Irene gli aveva rialzata la testa; gli asciugava le gote ed i capelli fradici del vino sprizzato dalla bottiglia rotta. Una striscia di sangue scendeva lenta e densa da una ferita della fronte, a destra.
      - Ci vuol coraggio, - bisbigliò la giovine donna agli orecchi del suocero. - Non sarà nulla: uno dei disturbi soliti; un po' piú forte.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





Ferramonti Irene