All'ora di accendere i lumi, il medico non si era ancora allontanato. Non aveva fatto alcuna domanda sul modo come l'attacco apoplettico si era manifestato. Contentavasi di ascoltare i ragguagli spontanei ed interrotti d'Irene, quasi per semplice condiscendenza. Chiese distrattamente se padron Gregorio avesse un medico proprio; al sentirsi risponder di no, non aggiunse altro.
Irene non lo conosceva affatto. Era capitato, per caso, alla cuoca, nella farmacia vicina. Era un uomo di appena quarant'anni, piccolo, calvo, miope, concentrato e taciturno. Doveva prender molto sul serio la propria professione. Seguiva attentissimo gli effetti della cura, occupandosi da sé delle cose piú minute. Sull'imbrunire, un baleno di amor proprio soddisfatto gli spianò la fronte. E, per la prima volta, andò a sedere lontano dal letto, aspettando.
- Come va? - domandò Irene, raggiungendolo.
Egli la guardò un istante negli occhi, producendole come un senso di confusione e di malessere. Si strinse nelle spalle. Non era precisamente perplesso; ma cercava forse una frase. Infine dovette averla trovata:
- Bisogna avvertire i figli, senza perder tempo.
Irene capí ch'egli conosceva la famiglia, e si sentí maggiormente a disagio. Arrischiò nondimeno un'obbiezione.
- Ma non c'è grande accordo fra il padre ed i figli. Non so se il vederli...
S'interruppe dinnanzi all'insistenza di quei due occhi scrutatori, penetranti come una punta di stile, colla loro vivida immobilità. Le parole di lei si mutarono improvvisamente in una domanda:
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Irene Gregorio Irene
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