Fra un gemito e l'altro, costringendosi a calme subitanee, dopo essersi asciugato violentemente gli occhi, il legale abbordava, uno dopo l'altro, i membri della famiglia. Profferiva i suoi servigi per qualunque bisogno. In quella sciagurata circostanza, sarebbe stata per lui una consolazione il potersi render utile.
Alle tre del pomeriggio il parroco, colla sicurezza dell'uomo pratico, annunciò che padron Gregorio sarebbe spirato al tramonto. Allora i Furlin, Mario, Irene e Pippo, si trovarono per un momento riuniti da un istinto comune, che nessuno di loro avrebbe saputo definire. Si ricambiavano occhiate cupe, piene del raccapriccio di trovarsi dinnanzi allo spettacolo tremendo della morte. Balbettavano frasi indefinite. Teta e Pippo singhiozzavano senza menzogna in quella manifestazione esterna del dolore. Dimenticavano tutti di aver desiderato la morte del vecchio, e sorgeva nel loro cuore un desiderio sincero che potesse essere ritardata, fosse pure da un miracolo.
- Animo! è necessario sostenere la prova coraggiosamente, - disse Furlin. - Non possiamo fare altro, e la disperazione non diminuirebbe certo la nostra sventura.
- Sí, - balbettò Teta; - ma tu non perdi il padre, tu!
- D'altra parte, - proseguí egli, - dobbiamo anche pensare ai gravi interessi che richiameranno la nostra attenzione...
Lo guardarono tutti vivamente. Furlin si era interrotto, e si accorgeva forse di avere oltrepassato, in quel momento, i limiti della convenienza. Ma, dinnanzi alle mute interrogazioni della famiglia, compié il suo pensiero:
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Gregorio Furlin Mario Irene Pippo Pippo Furlin Teta Teta
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