Il legale Frati gli si avvicinò: lo cercava. Aveva visto Irene entrare nella propria camera e rinchiudersi. Non sarebbe stato forse bene impedire alla povera donna di abbandonarsi cosí sola al suo dolore?
Ma, in fondo, non era tranquillo neppur Mario. Negli ultimi giorni Irene aveva molto cambiato con lui. Lo sfuggiva, lo teneva in distanza, rifiutava le sue attenzioni di parente affezionato nella sventura. Soprattutto sottraevasi ad una spiegazione, non accordando all'amante un minuto secondo di colloquio particolare. Al contrario, vi si ricusava in qualunque modo, anche con una risoluzione altera, fredda, già ostile.
Egli cercava d'illudere se stesso, argomentando che certo Irene non poteva avere la testa a segno, dinnanzi ad un fatto ond'erano in giuoco interessi formidabili. Fors'anche ella aveva ragioni potenti per non dare al mondo, in quella circostanza, la piú piccola occasione di malignare. Le idee che gli passavano pel capo, erano certamente la ricaduta in una malattia di folli diffidenze. Doveva in ogni modo essere cosí! Che cosa sarebbe accaduto, altrimenti?
Ma i suoi timori ingrossavano di continuo. Anche nell'incidente provocato da Furlin, Irene non si era degnata di rivolgergli né una parola, né uno sguardo. Lo aveva ringraziato delle sue difese, col fingere di non accorgersi neppure ch'egli fosse presente. Per Dio! forse la morte del vecchio Gregorio non era destinata a rimanere l'avvenimento piú tragico nella storia della famiglia Ferramonti in quel giro di tempo!
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