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      Egli camminò a caso. I parenti che se lo videro comparire dinnanzi, ne restarono colpiti e n'ebbero pietà. Si trovò circondato di confortatori, intesi ad impedire che il suo affanno avesse uno scoppio di disperazione. Udí tutto il frasario della filosofia che si sfodera nelle occasioni funebri. Il suo dolore era certamente legittimo; era anzi un dovere, e dimostrava quanto egli fosse un buon figlio. Ma un uomo deve farsi una ragione. Che cosa avrebbe ottenuto, se si fosse lasciato spingere all'eccesso? Suo padre, infine, pagava alla natura il tributo comune. Col non rassegnarsi, sarebbe stato crescergli un dolore al di là della tomba.
      Ma gli stessi confortatori, di nascosto, trovavano curiosissimo che proprio Mario si mostrasse il piú addolorato tra i Ferramonti. Quando si dice la voce del sangue! O povero monsignore, che dormiva da dodici anni il sonno eterno sotto una lastra di Santa Maria della Pace e ch'era morto senza aver forse saputo ottenere da Mario una mezza parola di rimpianto!... Basta! bisogna proprio confessare che l'uomo è un bizzarro animale, qualche volta!
      Padron Gregorio morí sull'imbrunire, esattamente come il parroco aveva previsto. Pippo, Teta ed il cavaliere Furlin erano presenti. Fu uno spegnersi di esistenza privo di scosse, inavvertito ai piú. Il parroco annunciò che tutto era finito; Paolo chiuse gli occhi al cadavere, e s'inginocchiarono tutti pregando, mentre il prete aspergeva.
      Irene e Mario non entrarono in camera, sconsigliativi da quegli stessi che si presero l'incarico di recar loro la funesta notizia.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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