Fino alle nove la famiglia rimase sparpagliata un po' dappertutto nell'appartamento, alla mercè degli amici e dei conoscenti. Alle nove ci fu una seconda riunione, in una stanza appartata, coll'intervento del legale Frati. Era per fissare il trasporto funebre ed il seppellimento. La funebre tristezza che impallidiva i loro visi metteva pure nei loro temperamenti una docilità nuova, nei loro cuori un desiderio di restare pienamente d'accordo. Per tal modo non andarono molto per le lunghe, e conclusero col rimettersi interamente a quello che avrebbero disposto il legale Frati ed il cavaliere Furlin. Ogni discussione d'interessi fu rimandata all'indomani della cerimonia funebre.
- Abbiamo pensato anche a questo, pur troppo! - concluse Frati. Poi, nel cupo silenzio della famiglia intiera, si rivolse alle due donne:
- Volete un consiglio da me? Cercate di riposarvi. Dovete essere affrante. Bisogna proprio riposarsi.
Pippo e Furlin appoggiarono vivamente il legale. Essi pure si proponevano di gettarsi sul letto, verso mezzanotte. Il giorno appresso ciascuno avrebbe avuto bisogno di trovarsi in forze.
- Allora, - disse Irene, - io andrò a casa.
- Meglio! meglio! - esclamò Frati, senza accorgersi dello stupore degli altri. - Ed è inutile tornar domani, signora Irene. Vi manderò mia moglie a tenervi compagnia.
- Vuoi che t'accompagni io? - si offrí Mario.
- No, no! - rispose subito la giovine donna senza guardarlo; - è inutile.
- Ma...?
- No!
Fu un rifiuto imperioso, che non ammetteva repliche.
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