Irene pregò Frati di condurla fino a Piazza Farnese, a trovare una carrozzella. E salutò subito i parenti, trovando superfluo ritornare a farlo, dopo essersi preparata per uscire.
- Ma perché se n'è andata? - balbettò Pippo, quando ella non fu piú presente.
- Ha fatto benissimo! - dichiarò Furlin. - Era inutile restare in mezzo a questa desolazione...
Si rivolse a Mario, che non aveva aperto bocca:
- E tu, non pensi di andate a riposarti tu pure?
- Non so, - rispose Mario coll'aria di chi si sveglia da un sogno.
- Se fossi in te, andrei. Si vede che non ti senti bene.
- Sí, sí! Vedrò...
- Fa' a modo mio! S'intende che domani, a buon'ora, tornerai.
- Ma lasciami stare! - interruppe Mario impazientito. Si staccò dai parenti, rifiutando di ascoltarli piú lungamente. Lo videro ridursi nell'angolo piú oscuro della camera, sedere, immergersi in pensieri profondi, che sformavano il suo viso chinato sul petto.
XIX.
La sera dopo, quando anche Pippo rientrò in casa sua, cercò immediatamente della moglie. Aveva il pretesto di parlarle del trasporto funebre. Si erano fatte le cose decorosamente. Si era chiamata la compagnia delle Stimate, trenta frati e dieci preti. Intorno alla bara dodici torce; sopra la coltre, a nome della famiglia, una corona di fiori freschi: un'idea di Furlin. Insomma, nessuno poteva dire che i figli di padron Gregorio avessero dimenticato i propri doveri.
- Non si è trovato alcun testamento, - soggiunse Pippo dopo una pausa. - Domani terremo una prima riunione, per occuparci amichevolmente dei nostri affari.
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