I patrocinatori delle due parti garantivano a ciascuna l'esito favorevole, ma la causa prese subito una fisonomia di litigio imbrogliatissimo ed interminabile. L'estate passò negli arzigogoli degli approcci preliminari sino alle ferie, che rimandarono ad epoca ancor piú lontana la discussione concreta del merito.
Le relazioni della famiglia subirono l'influenza del nuovo stato di cose: Mario ed i Furlin, riappaciati definitivamente, ostentavano il loro accordo perfetto di buoni parenti, senza curarsi affatto di Pippo e d'Irene. Da parte loro, questi ultimi secondavano tale separazione, vivendo in disparte, in un decoroso riserbo di borghesi che affidano alla giustizia legale la tutela dei propri diritti e l'affermazione trionfante della propria onestà. Irene aveva ripreso il sapiente lavorío di donna che si crea una fama di bontà, e si provava di nuovo a sedurre i cuori. Intorno a lei stringevansi le amicizie vecchie e nuove, occupate ad ammirare il sacrificio ch'ella aveva compiuto nel consacrarsi interamente alle cure filiali pel suocero. Non era naturale che Gregorio Ferramonti si fosse mostrato riconoscente? Come dovevano piuttosto definirsi i tentativi di coloro i quali, dopo essere stati cattivi figli e pessimi parenti, osteggiavano il compimento di un atto nobilissimo di gratitudine? D'altra parte, ammessa l'ipotesi assurda che Irene dovesse soccombere, si poteva con molta facilità prevedere come sarebbero andati a finire almeno una parte dei danari sudati dal padron Gregorio, quelli cioè, che sarebbero toccati a Mario.
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