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      Ma era un fenomeno che non riusciva a turbargli il pensiero. Un dramma segreto, intimo, occupava tutto il suo essere, sfatando l'importanza di questa rovina fatale, ch'egli prevedeva senza il piú lieve fremito. Meritava proprio la pena di preoccuparsene? Sarebbe finita, ed egli voleva proprio finirla, cercando di riuscirvi come un uomo che brucia fino all'ultimo le sue polveri e non concede agli oziosi lo spettacolo di un solo minuto di debolezza.
      D'altra parte, la sua vanità di mondano non permetteva che si rendessero note le cause del dramma di cui sentiva avvicinarsi la soluzione. Perdio! lasciar sospettare che un suo pari era ucciso da una donna che aveva posseduta, che poteva schiacciare ancora con una parola, e della quale subiva il disprezzo ed il tradimento con una vile rassegnazione da imbecille! Quest'idea sola gli toglieva il lume dagli occhi! No! non avrebbe lasciato dietro di sé tale grottesco ricordo!...
      Per tal modo, anche Irene era salva. Nel meditare infatti una soluzione tragica, Mario aveva vagheggiato l'idea di una morte violenta in comune, giacché la giovine donna si ricusava ad una vita in comune. Adesso, non era piú possibile pensarci: ella avrebbe vissuto tranquilla, da onesta borghese, al riparo di sospetti e di maldicenze, padronissima di dimenticare completamente che Mario aveva rappresentato una parte qualunque nel mondo.
      Ma egli era indicibilmente stanco. Aveva invano tentato, come un rimedio, tutte le tempeste dell'esistenza. La piaga del suo cuore e la follia del suo cervello non ne avevano ricavato neppure un refrigerio momentaneo.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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