Rubando l'amica ad un principe romano che gli aveva accordato anche la propria confidenza e la propria amicizia, aveva sperato nelle commozioni di una impresa difficile e di un grosso scandalo; nelle distrazioni di una corsa a Monaco, a Parigi, a Londra, nelle sorprese dell'azzardo, gettandosi nell'avventura colla borsa troppo sfornita; nelle acri ebbrezze di quella donna, per la quale tutta Roma galante perdeva la testa. Illusioni! Era stata una parentesi nella sua vita, di cui conservava uno sbiadito ricordo, come di piaceri incompleti, di noie, di stanchezze e di nausee. A Parigi, la donna che aveva preferito le stravaganze di lui ai milioni del principe romano, aveva dovuto dichiararsi stufa, piantandolo. Egli non ne aveva risentito rincrescimento alcuno; al contrario, aveva respirato piú libero.
L'idea di un suicidio, confusamente abbozzatasi nel suo spirito durante l'agonia del padre, si era maturata in quei giorni, assumendo il carattere di un progetto definito. Ritornava a Roma perché subiva l'attrazione misteriosa degli sciagurati che vanno a cadere sulla stessa scena dove si è svolto il dramma che li uccide. Giustificava a se stesso la ricomparsa con mille pretesti assurdi, che lo avrebbero fatto ridere di compassione se fosse stato appena in grado di giustificarsi.
Egli secondava unicamente le esigenze imperiose della propria passione. Aveva bisogno di sentirsi vicino ad Irene; di respirare l'aria ch'ella respirava; di avere occasione di rivederla, fosse pure da lontano e di nascosto.
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