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      Ad un tratto anche Mario, imitandola, si alzò. Rimase dinnanzi a lei, immobile, colle braccia incrociate sul petto, sogghignando.
      Ella dètte un passo indietro. Quella figura livida ed inesorabile le faceva gelare il sangue nelle vene. Era per la giovine donna qualche cosa come l'apparizione di un sogno spaventevole. Lei stava per gettare un grido.
      - Via! cesserò, - disse Mario, ridendo ancora. - Ti conviene? Non voglio che Pippo ti sorprenda in cotesto stato.
      Irene respirò forte. Vinceva il terrore di un istante, e sentiva rinascere la propria audacia in faccia a quell'uomo che, in sostanza, non era mai stato capace d'altro che di parole. Allora pensò appunto d'essersi lasciata cogliere piú volte dalla paura delle sue chiacchiere, creandosi un cruccio vano, un ostacolo tormentoso, scendendo inutilmente nell'adulterio. E riebbe il sorriso di disprezzo sparito dalle sue labbra poc'anzi. Alla fine, piú beffarda che non fosse stata ancora, parlò di nuovo al cognato.
      - Pippo non arriva mai! Se tu rimettessi ad un'altra sera la tua visita?...
      - Tu credi che avrò tempo di tornare un'altra sera? - domandò Mario col tono stesso.
      - Mio Dio, sí! ne sono persuasa. Sei un uomo ragionevole, e gli uomini ragionevoli non commettono mai delle bestialità irreparabili.
      - Dunque addio. Saluta Pippo da parte mia. Digli che tu stessa mi hai costretto ad anticipare la partenza.
      Lei trasalí all'ultima frase, colpita da un confuso sospetto. Mario si allontanò dirigendosi in fondo al salotto, verso una sedia dove aveva lasciato il cappello.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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