Ma, immobilizzata dallo spavento, la giovine donna vide il cognato sedere colla mano armata di un revolver. Fu un attimo: mentr'ella cacciava un grido, Mario introdusse la canna del revolver nell'orecchio, ed un colpo smorzato nella cavità cranica del suicida rimbombò.
Lei gridò ancora come una pazza. Invece di correre verso il cognato, indietreggiò fino all'angolo piú lontano da lui. Lo spavento le fiaccava le gambe, la strozzava. All'apparire della domestica non trovò che un gesto da forsennata, una sillaba rantolosa, indistinta.
Nel primo momento la serva non capí. Poi essa pure gettò uno strido di paura e fuggí chiamando aiuto, dimenticando la padrona, spinta solo dall'idea di fare accorrer gente. Mario, sopra una poltroncina, era rimasto riverso sul dossale colla testa un po' inclinata verso la spalla destra, colla mano penzoloni, stringente ancora il revolver. Il sangue gli scorreva a fiotti dal naso, imbrattandogli la camicia sul petto e gli abiti. I suoi occhi aperti restavano fisi sul punto dove egli aveva visto Irene per l'ultima volta. La morte era stata istantanea.
Ma dei vicini accorrevano; la casa andava in subbuglio. Delle figure si affacciavano alla porta del salotto e si ritraevano vinte una dopo l'altra dallo stesso raccapriccio. Pippo comparve in quel momento; fu il primo a precipitarsi dentro. Aveva solo inteso, fra l'agitazione della gente che gl'invadeva la casa, come suo fratello si fosse ucciso. Restò un istante in mezzo al salotto, guardandosi intorno, ricostruendo per cosí dire coll'immaginazione la scena che doveva essere accaduta.
| |
Mario Irene Mario Pippo
|