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      I piú indulgenti non sapevano trovare una parola per difenderla, e quegli stessi che negli ultimi tempi s'erano riassembrati a corteggiarla, le si scagliavano contro con maggiore veemenza. Era uno scoppio di reazione: il rancore di averle creduto, di essere stati invischiati dalla sua ipocrisia e dalla sua abilità; di non aver saputo guardarsi dal fascino di quella creatura, cosí bella, e cosí falsa e perfida.
      Un'infernale leggenda salí, gonfiò, rimase. Irene non si era data soltanto al cognato; si era data al suocero, gli aveva carpito la dichiarazione che produceva ai tribunali, in una convulsione di sensualità, come prezzo dell'incesto. Poi, di certo, aveva avvelenato Gregorio, premeditando la strage dell'intera famiglia Ferramonti. Chi lo sapeva, se Mario si era ammazzato da sé? C'era stato forse qualcuno presente al suicidio? L'ultimo colloquio dei due cognati restava un mistero impenetrabile, e non si poteva ormai uscirsene fuori coll'ingenuità di credere che Irene non fosse capace di tutto. N'ebbero la loro parte anche la polizia, i tribunali, il Governo: che ci stavano a fare per Dio? Quando s'era mai visto uno scandalo come quello di starsene in panciolle e di non muovere un dito, mentre accadono fatti di simile natura?
      La lite civile che i Furlin mantennero per conto proprio, subí forse l'influenza di questa esecrazione universale che schiacciava la giovine donna. La procedura precipitò, i patrocinatori d'Irene si trovarono disarmati dinnanzi agli attacchi terribili degli avversari.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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