Non capiva perché né Pippo né i Furlin non provocassero essi stessi quest'ultima catastrofe. Al loro posto, lei lo avrebbe fatto.
Visse cosí dei mesi. Invecchiava rapidamente. Si sarebbe detto ch'ella portava seco la morte. Nel cambiamento di domicilio, sua madre, collocata e tolta di peso dalla carrozzella che l'aveva trasportata, soffrí al punto di farne una malattia. Non doveva guarirne piú: morí sul finire di gennaio, mentre il marito, logorati i polmoni dall'etisia senile che ne faceva un fantasma, riducevasi in condizioni disperate. L'antico negoziante di ferrarecce raggiunse la moglie ai primi scirocchi primaverili.
Irene ereditava una sostanza di quarantamila lire, la sola risorsa sulla quale poteva sicuramente contare. Ma la lite contro gli eredi di Gregorio Ferramonti, costosissima, avrebbe fatto a questo meschino peculio delle sottrazioni spaventevoli. La giovine donna non se ne commosse, inselvatichita dalla solitudine, ostinata a non rinunciare ai mezzi di vendetta volgare e perfida che le rimanevano. Gli uomini di legge che era obbligata a consultare si affaticavano invano a proporle il tentativo di una transazione cogli avversari, dimostrandole la certezza di un insuccesso completo con qualunque altro mezzo. Lei non voleva sentirne parlare. Le bastava sapere che frattanto, per causa sua, i Ferramonti non potevano toccare un centesimo dell'eredità paterna. Ella poteva mantenerli in questa pena di Tantali, per dei mesi, per degli anni forse, e non voleva far loro grazia di un minuto secondo.
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