Poi la parte grottesca prevalse. Pippo diventava sempre piú sordido nella cura dei suoi interessi commerciali, ma diventava inoltre un tipo d'uomo bizzarro, che si andava a sentire per farne una scorpacciata di risa. Pareva che dimenticasse tutti gli episodi terribili della storia di casa Ferramonti, per rammentarne soltanto i ridicoli. Il cervello gli dava di volta: appariva smemorato; cadeva in certe astrazioni curiosissime a vedersi, cogli occhi spauriti e torbidi, ove la vivacità dell'intelligenza svaniva.
Per fortuna, i Furlin, ridiventati suoi intimi, lo sorvegliavano. Lo sviluppo graduale della malattia che gli uccideva l'intelligenza, prima di uccidergli il corpo, lo rendeva inadatto a condurre piú oltre il negozio di ferrarecce. Allora i garzoni di bottega poterono levarsi il gusto di vedere anche il cavalier Paolo col naso sopra i libri commerciali, perder la bussola in note ed in affari di cui non capiva il primo principio. Le vendite ricadevano in una fase critica di ristagno.
Del resto, Furlin non si dissimulava punto che la propria ingerenza negli interessi del cognato non poteva gran fatto allontanare i pericoli che li minacciavano. Si presentava però un buon espediente: la vendita della bottega avrebbe potuto eseguirsi a condizioni assai favorevoli, fatti valere i larghi profitti dell'ultimo bilancio. Teta e Paolo, d'accordo, la suggerirono al congiunto, cercando di prepararlo alla proposta con ogni riguardo, e con uno scaltro giuoco di approcci mascherati.
Lui ricalcitrò, fu violento, accusò la sorella ed il cognato di volere la sua rovina, fece un casa del diavolo.
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