Nella magrezza cadaverica, che disegnava l'ossatura della sua costruzione grossolana, egli era diventato di un pallor terreo. Fece quattro o cinque passi da ubbriaco, poi si appoggiò colle spalle al muro, restandovi un lungo istante, immobile, ebete. Lo assaliva un tremolío di tutte le membra, una vibrazione spasmodica dei nervi sconvolti, uno sbattimento delle mascelle producente un rumore sordo dei denti urtati fra loro. Quella convulsione rimase. Egli riprese a camminare, tardo, rasentando i muri, senza guardare, senza vedere, senza pensare. Dagli occhi fisi e tetri gli colavano sulle gote delle lagrime di cui non si accorgeva.
Tre ore piú tardi, la domestica dei Furlin lo trovò sul pianerottolo delle scale, in casa dei padroni, giuntovi forse da molto tempo. Era rimasto là, dimenticando che occorreva suonare il campanello per farsi aprire. Entrò guidato, spinto dalla donna di servizio, senza mostrare affatto di riconoscerla, né di riconoscere la sorella, sopraggiunta. Esse cercavano di scuoterlo e di interrogarlo; ma non le udiva: continuava a tremare con un tremito orribile che faceva ballare i suoi muscoli tesi; a piangere, con un pianto muto senza singhiozzi. Si assise quando lo piegarono a forza sopra un canapè; fissò un punto immaginario dinnanzi a sé, e proseguí a tremare, a piangere ed a sbattere i denti.
N'ebbero per tutta la giornata e per tutta la notte seguente. Le crisi ripetevansi lunghe, raccapriccianti, a brevi intervalli di calme ebeti, o di torpori profondi, che non rallentavano però il brivido eterno delle membra dell'ammalato.
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Furlin
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