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      Se ci fosse stato un solo barlume di speranza, quella crisi avrebbe potuto risolversi in un miglioramento. Invece, iniziò soltanto un'altra fase della malattia. Nella cella che gli avevano assegnato a Sant'Onofrio, attraverso i viali del giardino dove lo conducevano a passeggiare, Pippo continuò a piangere ed a chiamare la moglie, spaventato dal fantasma di lei, od invocandone l'apparizione con lamentosi balbettamenti di tenerezza. Lo svanire della sua intelligenza incalzava, prendendo, a poco a poco, le forme di una insensibilità assoluta. Un giorno non pianse piú, non vide, non sentí piú nulla; disimparò anche a pronunciare parole, eccetto il nome di sua moglie, che ripeteva giorno e notte, migliaia di volte, senza espressione, come un suono meccanico dei suoi organi vocali.
      Doveva spirare con quel nome sulle labbra, mentre Irene aspettava appunto la sua morte, e si occupava a ricostruire la propria fortuna. Che importava se il nome di lei era stato trascinato nel fango di tutte le piú infami accuse? Quando riapparve in mezzo alla gente, lei non fu meno bella per questo. Un'altra volta la sua figura arieggiò quella di un angelo sceso dal cielo, e la stessa esagerazione delle colpe attribuitele concorse a salvarla. Povera martire! ella aveva provato davvero tutti i dolori! per qualche cosa il suo pallido viso recava le tracce indelebili di un affanno segreto! Insomma, il suo fascino ricominciava lento, guardingo, vittorioso! Si era data alle pratiche religiose, come per dimostrare che nessuna fiducia le restava piú, fuori della fiducia in Dio.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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