Fatica perduta! Alessandro lo teneva pel modello dei galantuomini e dei puri Italiani, accusando solo sé stesso di non giungere a tanta perfezione, lo chiamava l'uomo antico, l'uomo greco, la virtú spartana, il filosofo per eccellenza.
– Se per essere tutte queste belle cose occorre quel ceffo da via crucis, io vi rinuncierei, – rispondeva per solito Fiorenza. Bisogna dire che Daniele, allevato male nella sua miserabile infanzia, rozzo per natura, manifestava sensi di sprezzo verso le donne: e a Fiorenza concambiava generosamente la sua avversione.
– Guardalo là che occhi! che faccia! – mormorò Fiorenza, quando gli fu vicino.
– È proprio il babao, – rispose Rocco sogghignando ad Alessandro.
E questi, con tono compassionevole e da burla: – Donne!... donne!...
– Eterni dei, – lo interruppe Rocco, canticchiando l'aria di queste parole.
– Loro si presenta, – proseguí l'altro, – un damerino colla barba profumata, liscio, inamidato... quello è un angelo!... ecco la frase. Il povero Daniele è tanto povero da non aver che un soprabitino sdrucito, quasi indecente: è tanto superbo da non voler che io gliene doni uno buono... oh Dio! non lo guardate, quello è il demonio... ma son impressionabili, poverine!... obbediscono ai nervi.
– Farebbe meglio, – insisté Fiorenza, – a esser meno superbo e meno arrogante.
In quella s'appressavano al gruppo dove perorava appunto Daniele.
CAPITOLO IIICHI PIANGE E CHI RIDE
Dove giunti, la compagnia si divise in due. Alessandro, la Teresa, Rocco si fecero subito in circolo, disposti a prender parte alla discussione; Fiorenza andò a sedersi sopra un sedile rustico, vicino ad una tavola, fatta d'un ceppo d'albero, tirò fuori un involto dalla saccoccia, lo appoggiò sul tavolo, e ne estrasse un gran numero di filacce; poi cominciò da una gran pezza di tela a cavarne le fila, e a sovrapporle ben apparecchiate sulle ginocchia.
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