Il sedile stava sotto uno dei salici, che gli cadeva sopra a piombo, e quasi toccava colle estreme frange il capo di Fiorenza; mentre da un lato un cespo di rose magnifiche, in riva alla acquetta, dava maggior splendore a quella scena, già per sé stessa soave.
– Oh! Fiorenza!... – gridò da un momento all'altro Salvatore, movendo con piglio strambo verso di lei. – A proposito, dov'è la Clelia? – E Fiorenza:
– Manco male che te ne ricordi una volta!... testa matta.
– La testa!... mica il core sai... – e le corse vicino.
– Sí... sí... io per me...
– Perché saresti gelosa.
– Io!... non è vero.
– È vero – gridò la Teresa.
– Cosa c'entri nei nostri discorsi?... tu bada a' tuoi repubblicani, mazziniani, albertisti... e lasciaci un po' discorrere insieme con costui – e guardava amabile Salvatore. Allora la Teresa si appressò in fretta.
– Hai una forbice? – domandò alla cognata.
– Ce l'ho, ma è piccola per quel che vuoi fare – rispose Fiorenza additando un sacco da viaggio, detto cabas, che la Teresa avea prima infilato nel braccio, e ora teneva nella mani, per levarci via lo stemma.
– Sí, la è piccina – disse la Teresa... – mi servirò dello stilo: – e sí detto, cavando dalla cintura un affilato, forbito, lucidissimo stilo, eccola con somma vivacità a disfare l'arma, ricamata a grandi proporzioni sopra uno dei due lati del cabas, eccola in fretta ed in furia, a farci sparire con un certo che di convulso, ora la corona, ora la bestia di famiglia, a farci saltar via tutto, perle, oro, ricami. Qualche anno prima quel segnale di nobiltà Dio sa quanto lo avea tenuto caro e cosa gli avea sagrificato.
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