Ella ardente, febbrile, provocatrice: lui freddo, una vera gatta morta: buono e passivo, tutt'al contrario di prima della rivoluzione, in cui era manifestamente avaro e tirannico: lui timido aspettando, e nutrendo irriverenti dubbi segreti sulla pronta, intiera redenzione d'Italia; tacitamente chiuso nel quadrilatero de' suoi diritti. Furbo in ciò e nel non farsi notare per austriacante, assecondando, in sobria maniera, il grande movimento. Aveva il conte Lorenzo anche vestito l'uniforme d'ogni buon italiano, al tempo del quarantotto: portava un cappello dalla tesa un po' larga e rialzata ai lati, da uno dei quali scendeva obliqua e monca una magra piuma nera. S'era lasciato crescere i baffi e sul mento ei teneva, a triangolo, il mistico pizzo, ossia quattro peli rabbiosi, che avevano l'aria di crescere per dispetto. Questo per di fuori: ma, nell'anima palpitava la causa dell'ordine, quella che poteva dargli sicuro appoggio contro la bella infedele, da cui preferiva esser tradito piuttosto che separato.
Ella, voglio dir la Teresa, sentiva tutto ciò coll'istinto della paura e delle sue astiose passioni.
Stavan là tutti e due: l'armata austriaca e l'italiana incarnate in due individui: i bollettini, mandati dai due campi di battaglia, venivano, come palle morte, a cadere in quei due miseri cuori. Quando c'erano vittorie strepitose, clamorose più del solito, la moglie, certa della propria privata vittoria, la quale consisteva in non separarsi dai figli (perché non c'è rivoluzione al mondo, che permetta l'abbandono alle madri) consisteva dunque in torsi soltanto dal tetto coniugale, la moglie, quando c'erano notizie splendide per l'Italia e per lei, sicura del trionfo d'ogni sua volontà, provava una specie di avvicinamento pel rejetto consorte; una compassione e quasi un rimorso.
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