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      Poi un altro, marito della stessa, e fratello della signora Celeste, il capo insomma di quella famiglia, vecchio, ma pien d'energia, gli tenne dietro.
      Si chiamava Francesco, e per chiasso, gli dicevano paron Checco; ora vi darò qualche notizia di questo personaggio. Caratteri d'una volta, appartengono alla storia, e sono tipi ormai perduti.
      Il signor Francesco dunque (che noi nomineremo anche paron Checco) era un caldo patriota, ma alla foggia antica: era in una parola un giacobino; per lui la rivoluzione voleva dire divenir francesi, e fuori che risuscitare Napoleone, miracolo impossibile, voleva dire evocarne in tutto e per tutto i tempi, le guerre, quella tal libertà, eguaglianza e ciò che segue.
      Diceva per esempio:
      – Noi sotto gli stranieri veramente non ci si vorrebbe stare; – questo l'ammetteva anch'egli, ma se ve l'ho a confidare in segreto, la credo una concessione da lui fatta, pel momento, alla irascibilità dei suoi ascoltatori, affine d'espor quindi piú liberamente l'opinion sua – noi sotto gli stranieri non ci si vorrebbe stare... ma... oh! quando mai, sempre si avrà piú caro sotto quelli che ci somigliano, a noi, appendix Galliae – (buono che lo diceva in latino). – Sí, sotto i Francesi, sotto quei maledetti matti, – s'intende che parlava celiando, e che quella tenera insolenza era intesa a dimostrare il brio d'una nazione fatta per vivere con noi, in buona armonia, e in perfetto accordo di spirito e d'entusiasmo.
      Che se qualcheduno gli troncava la parola con un ohibò di sprezzo, egli restava in sospeso come si fa davanti ad uno cui manchi la lucidità dell'intelletto, perché proprio l'idea italiana gli entrava sí e no nel cervello: apparteneva, lo ridico, al vecchio stampo di uomini innamorati di Napoleone: non conosceva l'idea nemmeno di saluto; o tutt'al più la conosceva come una miccia da cannoni; per cannoni, intendo le cose in cui il nostro conciapelli ponea fede, mentre dei principii infallibili, e dei loro apostoli ideologi ne faceva lo stesso caso quanto il suo Buonaparte.


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La rivoluzione in casa
di Luigia Codèmo
pagine 354

   





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