A cui la signora Giuliana, sua moglie:
– Via!... Abbiamo l'ordinanza dell'ufficiale romano... eh!... sí... a servizio... – mormorò a una supposta opposizione del marito, – ci va quando gli frulla, costui!
– Perché, – ricominciò la Marietta, – sentii dire che se uno, Dio liberi, cade in guerra, è piú facile salvarlo quando gli si viene subito in soccorso...
– Sí... sí... già ci son le ambulanze... ma se ciò ti calma, via il principe Eugenio sarà il mio scudo.
– E en avant! – intonò Eusebio.
Allora il paron Checco:
– Bravo: en avant! – disse anch'egli tutto ringalluzzito; poi, come se il vecchio demonio della rivoluzione francese gli si evocasse all'improvviso, – e crepino gli aristocratici! – gridò con voce sonora, pestando anch'egli i piedi per terra, e mettendosi ad intonar la marsigliese.
Salvatore in quel momento, non contenendosi più, intuonò allegramente:
«Addio, mia bella, addio,
L'armata se ne va;
Se non partissi anch'ioSarebbe una viltà,
Con quel che segue fino a
Del mio sepolcro allatoUn fiore spunterà.
Tu il bacia il dí ch'è nato,
È fior di libertà».
Tutti, che ben s'intende, gli fecero coro, cantando strofa per istrofa quella bella canzoncina che ha un ritmo così dolce, così malinconico, e tanto naturale che pare una melodia istintiva, di quelle che nei momenti di commozione l'anima crea per disfogare i suoi affetti.
– Magari anch'io – esclamò la Teresa, a cui quel canto per mille intime ragioni aveva sollevato, esaltato all'ultimo punto ogni sentimento. Poi brandí una pistola, e stese il braccio in attitudine un po' spavalda.
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