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      Però dopo che ognuno ebbe detta la sua, e gridato che: – prete via prete fa prete – che non bisogna fidarsi, – finalmente il Romano alzò la sua bella voce, e con quella pronunzia che dovrebbe assai piú della toscana, esser proposta a modello, fe' un discorso per provare come l'enciclica, ossia il ritrarre il passo dal cammino della rivoluzione, fosse atto di dovere pel pontefice nella sua qualità di sovrano, ma che non contava più d'una semplice formalità.
      – S'intende!... – esclamò don Leonardo, fratello del dottor Agostino, appassionatissimo per la causa italiana, pur rimanendo vero prete, vero angelo: portava al collo tanto di medaglia di Pio IX, beato che l'indipendenza nazionale fosse iniziata sotto gli auspicii del suo capo venerato. – Il ministero del pontefice è tutto di carità: egli non può spingere i suoi figli ad uccidersi... deve protestare!
      – Ma lasciar fare, – riprese con vivacità il Romano, – sicuro! egli, nel suo doppio carattere di sacerdote e di sovrano, deve tenere un linguaggio che non offenda nessuno... perché sapete cosa ne potrebbe succedere?... all'ultimo si cadrebbe in uno scisma... e lui ne sarebbe la causa!... è perciò che protesta, per salvare le apparenze, ma nel suo cuore è italiano, italianissimo... e poi ne volete una prova?... o non ha forse benedetta l'Italia?... l'ho sentito io con quest'orecchi... eh!... che momento fu quello... come alzò gli occhi al cielo e disse proprio con sentimento ed unzione: – Benedite, gran Dio l'Italia?... eh!... vi par chiaro?


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La rivoluzione in casa
di Luigia Codèmo
pagine 354

   





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