– Cosa fate qua in cucina? – domandò Salvatore.
– Ti scandalezzi?... – disse la Teresa – Non predicate tutti che non v'hanno piú ad essere differenze? cucina o camera è lo stesso.
– S'intende, – esclamò Alessandro, – anzi la Sibilla, invitata, doveva pranzare a tavola con noi.
– È vero: non ci ho pensato, – rispose con semplicità Fiorenza.
– Oh! per questo, – saltò su la Betta, – li ringrazio ma non ci sarei punto venuta... ché noi a star coi signori perdiamo la nostra libertà... già, anco se si pranza noi in cucina e loro in giardino siamo tutti compagni lo stesso.
– E vero!... è vero!... la Sibilla ha ragione... e tutti Italiani.
– Tutti Italiani!... tutti compagni, ma le sue differenze le ci vogliono.
– E voi cosa dite?... – domandò Salvatore accostandosi vivace ed amabile al cuoco.
– Via!... non lo canzonare, – mormorò Clelia, sempre tremante che il suo promesso sposo non apparisse troppo sguajato, e non disgustasse ancora di più il dottor Agostino.
– Io?.. ma che?... parlo sul serio... via, Checco... Toni.. come vi chiamate?
– Biasio, per servirla.
– Bene... cosa dici di queste vicende?... eh?... cosa te ne pare?
Il vecchio alzando a mala pena la testa, coperta d'un berretto di bavella nera, accuminato e col suo bravo fiocchetto in cima e dando certe strizzatine d'occhio, le quali attraverso le lunghe sopracciglie somigliavano a fuoco lontano da una densa foresta, venne tremolante in mezzo alla cucina.
– Io?... – diss'egli, – io? cos'ho da dire?... non saprei, – mugolò come parlando a sé stesso.
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