– Ecco torna la nostra!... tirano via la bianca... torna la nostra.
– Via... maledetta... sí... no... oh!... cara la nostra sí... no... via... cara... maledetta, – gridano altamente voci giovanili, appassionate.
– Ci vogliono dunque tutti morti?...
– Meglio seppellirci tutti sotto le nostre rovine, – disse la Teresa irrompendo, con maschia voce, e disperazione tremenda nel volto, negli atti.
– Oh!... caspita!... l'eroina... vada lei a farsi ammazzare, – mormorò il conciapelli.
– Sí... no... dentro... fuori... fuori, vi dico...
– La farebbe meglio a badare a suo marito quella spiritata, – mormorò il vecchio Rensini, sbucando fuori da un sottoscala, dove si era appiattato.
– Quanto a me, – disse il signor Francesco, – se mi abbruciano i magazzini, dove ci ho le pelli, son servito.
Fuori, torno a dirlo, succedeva lo stesso, perché in mezzo alle fucilate e al sussurro, che come rombo di un mare in burrasca, giungeva distinto all'orecchio, si vedeva uscire, sparire, ricomparire ora la bandiera austriaca, ora la italiana. Ora i bei colori, ora il panno grifagno da morto; sicché anco fuori le vociferazioni somigliavano a quelle della casa.
– Oh! che babilonia! – borbottava Rensini mentre la Celeste, con in mano la statuina del duca di Reichstadt, per riporla al salvo cogli altri oggetti, iva piangendo e gridando: – capitolazione, capitolazione!...
– Per quattro pazzi aver da morire con questo bel sugo, – mormorò il signor Matteo, uomo liberalissimo in tempo di pace, e tanto caldo che al principio della rivoluzione si sarebbe tolto volentieri l'incarico di ammazzare Radetzky.
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