In mezzo alla infernale altalena sopraggiunse la notte, e con essa, se non un riposo, almeno un po' di silenzio; mancava la luce, bombe non ne venivano piú, tacevano le artiglierie della città.
I giovani di casa Rizio, frementi, si ritrassero nel piano superiore, dacché pericolo non ve ne aveva piú, e in qualunque modo, nel profondo smarrimento delle anime loro, quasi non si ricordavano piú di nessun pericolo.
Teresa andò al balcone, e si appoggiò al davanzale piangendo.
– Guarda!... i selvaggi!... guarda se abbruciano le nostre povere campagne!... – esclamò Alessandro, additando alcuni punti dell'orizzonte, qual remoto, qual prossimo, dai quali partivano fiamme di vasti incendii: erano le case che gli Austriaci bruciavano, nessuno ha mai saputo il perché, se non per impazienza, per rabbia da barbari.
Nell'ampia campagna, tutta scura, quei punti luminosi disegnati a capriccio, fra grandi intervalli di fitte ombre, le impartivano l'aspetto d'una grande città vista di sera, ma l'anima oppressa vi leggeva quello d'un immenso camposanto.
– E noi, – disse la Teresa, – non s'ha da averlo il coraggio di bruciare queste quattro catapecchie, e saltare in aria, perché almeno ci trovino tutti morti... tutti un mucchio di rovine!
– Io... ce l'avrei il coraggio, – esclamò Salvatore.
– Io pure, – disse la Clelia a cui per l'età sua, pel grande amore al giovine, l'idea di perire con una morte eroica al suo fianco destava un'amara, ma potente voluttà d'entusiasmo e di gloria.
– Bruciate, demoni... sterminate, mostri.
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