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      ... che giorno... che giorno!
      Di fatto, tranne le bombe, era peggio del dí innanzi; un andare, un venire; congedi, imprecazioni, lagrime, strette di mano, discorsi in tutte le forme, con tutte le pronunzie, romane, siciliane, toscane, lombarde.
      Alcuni, e questi erano la piú parte, i giovani ed i volontarii, si allontanavano ilari, con disinvoltura da veterani, congedandosi in buona fede con un – a rivederci di qui a tre giorni... o tutt'al più otto. – Chi si faceva un orrendo spauracchio del tornar de' Tedeschi e si nascondeva e gettava via quelle insegne a cui non credeva piú. Chi (per riferirvi anco gli spropositi piú grossolani) accusava il popolo di freddezza, perfino di connivenza cogli Austriaci e assicurava di tenerne le prove. Chi accusava Manin e Tommaseo d'avere, coll'impiantar la repubblica, disgustato il Re e l'esercito e la parte moderata!... a volervi riferire quei discorsi non avrei che da rimandarvi al primo capitolo la politica in orto, e presso a poco dipingervi la stessa fede, la stessa cecità, la stessa ostinazione, gli stessi errori, le stesse dispute.
      Questo momentaneo rovescio, di poco cambiava pensieri e parole degli uni e degli altri, perché solitamente due parti avverse, da uno stesso fatto hanno la bravura di cavar conclusioni buone alle proprie idee. Nel movimento del Quarantotto ci fu di particolare, che la nazionalità italiana era sorta dal grembo d'una grande rivoluzione sociale, padrona d'Europa, e che da tanti anni lavorava in segreto, rivoluzione destinata a cambiar faccia al mondo col salir lento, sicuro ed irresistibile, per quanto ci s'accordi alle leggi di natura, della democrazia universale.


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La rivoluzione in casa
di Luigia Codèmo
pagine 354

   





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