Alessandro credeva di schivare la vista dei militari austriaci, ma s'ingannò senza dubbio: oramai circuivano la città, ed ei passò quando le sentinelle aveano cominciato le loro funzioni. Un biglietto, pervenuto a Fiorenza, fu per la povera donna una rivelazione di terrore. Alessandro l'avea scritto di soppiatto, strappando una pagina da un piccolo album di saccoccia. Mandato per Rocco, famoso in simili spedizioni, capacissimo di nasconderlo fra le labbra, l'avea scritto appena riveduti gli Austriaci, parea vergato col sangue, coll'odio, quasi non s'intendeva cosa volesse significare.
Mia Fiorenza!... gli ho sentiti!... mio Dio!... gli ho visti, i maledetti... ho sul petto come una zampa di demonio; mi lacera, mi dilania... udii le loro voci, mi si raggriccia il sangue. Dio!! Dio!! non poter desiderare che la città si sprofondi... non potere!... perché dentro ci ho te, il figlio mio... tutto!... tutto!... Ti raccomando la povera Teresa.
Una circostanza, forse accidentale, accresceva la penosa impressione di quella lettera, già per sé tanto amara.
Dopo le parole – ti raccomando Teresa – appariva che Alessandro vi avesse aggiunto – com'io raccomando a te... – altro non si poteva scorgere... debolissima, appena intelligibile, l'aggiunta, il nome mancava del tutto. S'era cancellato per caso? era pentimento di Alessandro, o per lo meno incertezza, o suggestione di Daniele?... E quel nome? intendeva designare lo zio, oppure Guido? Tal sospetto, la impossibilità di chiarirlo, chi sa mai per quanto tempo, turbarono lo spirito della sposa di Alessandro in modo, ch'ella stessa non sapeva spiegarsi il perché un lieve incidente le infondesse quella ignota paura, e divenisse, in mezzo a tanta miseria, un affanno di più.
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