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      Vedevo in quel momento un oggetto di dolore e di orrore; vedevo gli Ulani austriaci pronti a scortare i profughi, e il loro mantello bianco pareva il lenzuolo funebre della patria appena e male risorta. Però era naturale. Naturale che i barbari addentassero di nuovo la preda fuggita per miracolo e vi si riattaccassero coll'istinto della belva stupida, per rimanervi fino a che non venga uccisa là, sopra la sua stessa vittima. Anco il mio dolore diveniva naturale; era il processo regolare di un male che, pel momento, in luogo di guarire si esacerbava, e nel mio acuto spasimo vi avea un sentimento di dignità, un'amara soddisfazione, la coscienza dell'infallibilità d'una causa grande anche fra le tenebre di momentanea eclissi. Ora in vece sai tu cosa ho veduto?... cosa ho sul core? ci ho l'ingratitudine degli uomini, la sconoscenza crudele degli Italiani verso colui che arrischiò tutto: il suo trono, la sua armata, la vita dei suoi figliuoli... Io (sensazione incancellabile) ho udite grida nefande, vociferazioni scandalose; giunse al mio orecchio inorridito lo scoppio di colpi assassini, che miravano al petto di colui col quale Italia palpitò di speranza, e volevano recidere la mano che, prima fra tutte, dopo mille anni di codardia, alzò la spada d'una nazione perduta! Ah! non vorrei esser profeta, ma ricòrdati le mie parole: se non si rialza con una splendida vittoria, il re morirà di crepacuore, siine certa; no, non si può piú vivere dopo Custoza e Milano!... Ma allora cosa sarà di noi?


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La rivoluzione in casa
di Luigia Codèmo
pagine 354

   





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