In vero è anzi piacevolissimo. E noi che si passò tanto tempo da vicino, nello stesso paese, senza mai conoscerci!... che casi ha la vita!... in questa desolazione è il nostro solo conforto; la sera egli fa la partita col papà e mentre noi donne si lavora, gli tiene compagnia: con suo grande sforzo, se io non m'inganno, perché non ci ha punto inclinazione al gioco... e, vedi un po'... io lo credo anche poeta, e voglio raccontarti un piccolo incidente, ma che mi fe' molta impressione. Guido mi ha prestato un libro da leggere. Una sera mentre Ugo (i fanciulli mettono le mani da per tutto), l'andava sfogliando trovò l'ultima carta appiccicata al cartone. Appena avvistosi di ciò, si mise con gran zelo, a frugacchiare colle sue mani per distaccarla. Io che so come l'ultima carta nei libri è bianca, e immaginai ci fosse scritto sopra qualcosa volli torgli il volume di mano, ma nello strappo, la pagina rimase allo scoperto, e gettativi gli occhi sopra, vidi quattro strofe... In quel momento Guido si accorse, e guardò. – È permesso? – domandai, – perché no? – rispose senza mostrare il minimo turbamento, ma severo e direi quasi accorato. Poi con un certo modo lento e commosso disse questa breve romanza, ch'io ti trascrivo:
Aura, che lene mormori,
E vai tra fronda e fronda;
Caro, tranquillo, argenteoRaggio che solchi l'onda;
Nube, che aerea navighiPer l'ampio ciel seren;
Vivo universo ah! parlamiDel mio perduto ben.
Sorda son io al tuo fremito,
Aura soave e cara,
Cieca al bel raggio tremolo,
Notte, che ti rischiara;
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Ugo Guido Guido
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