Tutto ci si vede distinto, perché le siepi o il frondeggio degli alberi non vi fanno ostacolo. Si scorge quindi netta, incisa in un bel cielo, la catena dei monti, grandi, maestosi dal piede fino ai cacumi.
La neve brilla su quelle cime aeree, poi si sparge, si posa sui fianchi in lucidi triangoli di varie forme; i quali fanno risaltare a tratti spiccatissimi, del piú bel turchino, le costure lungo i dorsi, scendenti per di qua, per di là, intrecciate per ogni verso, come fossero la nervatura d'una foglia, e la neve il suo parenchima: poi v'è la falda tutta d'un colorino tra il viola e il celeste, fin che una bella riga forte e scura la taglia, segna il piede dei monti, e l'incominciar della pianura. Di là si partono le praterie, vengono avanti, si stendono unite, diffuse, a perdita d'occhio, rotte da qualche albero d'alto fusto, da qualche caseggiato, da qualche campanile.
Non v'à niente che mi piaccia di piú d'un tale aspetto; quelle montagne, a prima vista mi somigliano a belle signore in bournous bianco, acconciate da ballo, languidamente appoggiate, quasi riverse, e la leggera nebbia che il sole dipinge in una tinta di rosa, appena sensibile, par luce di lampada smerigliata.
Ho detto questa similitudine a Fiorenza, che la trovò gentile, ed anche la Clelia. Intanto un bel pettirosso s'era appoggiato al ramo d'un albero, in riva ad una acquetta impietrata dal ghiaccio; l'albero nero, nudo, vero scheletro dalle braccie irrigidite e rossiccie, si vedeva staccare con altri rami giallognoli da quel fondo, rendendone piú vaga, direi piú arcana, la vaporea bellezza.
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Fiorenza Clelia
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