La Marietta aveva in mano una penna e la teneva brandita con un certo modo tra l'imperizia e il coraggio, diretta fra il pollice e l'indice, secondo è prescritto dai regolamenti.
La donna s'alzò, e mi venne incontro.
– Di voi non mi vergogno, – replicò ella, – perché siete tanto buono...
Io la guardavo sorridendo e interrogando.
– Non m'intendete, signor Guido?
– In verità... Io sono il Turco alla predica, e non solo non intendo, ma non mi persuado che intenderò mai di che cosa la Marietta s'abbia a vergognare.
Allora ella mi prese per mano, e mi condusse al tavolo, ne tolse un libro colle pagine rigate, e me lo mostrò.
– Ecco, – diss'ella, – se ho a dir la verità, imparo da mia posta a scrivere.
– Non sapevate?
– Eh! no... non si usava imparare a scrivere, quand'ero piccola io... o non ci hanno pensato, insomma: dirò, fino adesso, non ci avevo mai pensato nemmeno io, ma quando m'andò via Salvatore, e per iscrivergli ho dovuto ricorrere dal terzo, dal quarto e da certi...
– Dal vostro inquilino... Rensini.
– Faccia conto!... – e qui un sospiro misterioso.
– Perché non venire da me?
– Oh! non avrei avuto il coraggio di disturbarlo... non so nemmeno dove stia... cioè lo so appena, ma a quel castello deserto non oserei battere.
– E sempre aperto agli onesti, Marietta.
– Va bene... ma insomma tornando al nostro discorso... ella sa che le mamme han sempre di gran cose da dire ai figlioli, massime quando son lontani e in tanti pericoli; se fosse andato via per capriccio o per cattiveria... ma è andato per l'Italia.
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