Fiorenza nascondendo la sua confusione, dirò meglio, il suo turbamento, il suo sdegno a quella maniera da plebe, proferí ad alta voce:
– Avanti.
E Guido entrò.
– Voi mi vedete qua ad una specie d'inquisizione formale, per causa vostra.
– Per causa mia? – disse il giovane, sulla maschia e severa fisonomia del quale passò un lampo fuggitivo di giovialità e buon umore.
– Zitto, basta, – esclamò allora la madre di Costanza, a cui l'intervento di un uomo, e di quella fatta, non garbava punto.
– Andiamo! ora intendo... sibbene che la credono la casta Susanna... mi vergogno per lei, signora, – concluse.
– I discorsi di matrimonio colla sorella servivano per coprire i garbugli, – disse Costanza furente. – Va bene... già me n'ero avvisata... cosa hanno a sperare le povere ragazze?...
Un'occhiata di Guido troncò la parola in bocca alla piccola furia, la quale pensò bene di avviarsi in coda alla madre e alla zia: ma non si poté frenare al punto che non mormorasse piena d'astio:
– Ih!... piano per carità, non gliela tocco.
Guido si mosse... certo egli aveva l'intenzione o dirò meglio il desiderio di ghermire la Costanza per un braccio e cacciarla fuori. Guido con una sola mano le avrebbe slanciate fuori dalla finestra tutte e tre. Ma si trattenne, ripugnandogli mettersi contro una donna.
– Andiamo via!... se no... ancora ch'e' ci bastonano: – esclamò la signora Celeste. A cui Fiorenza con grande placidità:
– Io non le mando via, signore, quantunque a dir vero, elle mi manchino di rispetto, senza che possa indovinare in che io meriti il loro sdegno, – e qui guardò in atto di pietà la figliuola del conciapelli.
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